2021
Il mio filippino: Tess
Liryc Dela Cruz
B/w video, sound, 20’ Collaborator: Tess Magallanes - Video b/n, suono, 20’ Collaboratrice: Tess Magallanes



Liryc Dela Cruz, “Il mio filippino: Tess”, 2021, still from video. Courtesy the artist
“Il Mio Filippino” is a continuous research and documentation of “gestures of care and cleaning methods” of Filipino cleaning workers by artist and filmmaker Liryc Dela Cruz. The work poses questions on whether and how we can decolonize the enslaved and overexploited body. Is it possible to unlearn the colonial legacies embedded in these gestures of slavery and exhaustion? How can we emancipate the enslaved bodies? In the pre-colonial Philippines, caring was always associated with how people related and lived with nature. Caring was a seminal form of co-existing with the seen and unseen elements of the environment. Through the long years of Spanish colonization, the trans-pacific slave trade, American and Japanese occupations, dictatorship, corruption, capitalism, social reproduction of “care workers” and modern day slavery in the Global South, the gesture of caring has been reappropriated and redefined. The expression “Il mio Filippino” was coined in the late 1980s by mid-upper class Italians after the influx of Filipinos in Italy in the 1970s. A sign of ignorance and, perhaps, of ‘casual’ racism, the term “filippino” is still used to refer to a person of any nationality in Italy’s cleaning and care sector. The documentation and video of Dela Cruz documents gestures that have been formed through colonization and capitalism. Through this research, he is also tracing the history of slavery in the Philippines from Pre-colonial Philippines to the contemporary Philippines. This project’s aim is not to trigger guilt. Rather, it is an invitation to look closer at these familiar yet unknown bodies, who silently surround us in our domestic environments but remain invisible and neglected. Quoting Françoise Vergès: “As we try to clean/repair the wounds of the past, we must also clean/repair the wounds that are being inflicted today... As we repair the past we must simultaneously repair the current damage that increases the vulnerability to death of millions of people in the Global South. The past is our present, and it is within this mixed temporality that futurity can be imagined.”
In “Il Mio Filippino”, l'artista e regista Liryc Dela Cruz attua una continua ricerca e documentazione dei gesti di cura e dei metodi di pulizia svolti dagli addetti filippini durante le loro mansioni. Il lavoro pone domande su come possiamo decolonizzare il corpo schiavizzato e sovrasfruttato: è possibile disimparare le eredità coloniali racchiuse in questi gesti di schiavitù e di sfinimento? Come possiamo emancipare i corpi schiavizzati? Nelle Filippine pre-coloniali, la cura è sempre stata associata al modo in cui le persone si relazionano e vivono con la natura. La cura era intesa come una forma fondamentale di coesistenza con gli elementi visibili e invisibili dell'ambiente. A seguito dei lunghi anni della colonizzazione spagnola, della tratta degli schiavi trans-pacifica, delle occupazioni americane e giapponesi, della dittatura, della corruzione e del capitalismo, la visione sociale dei “lavoratori di cura” con la moderna schiavitù nel Sud del mondo, ha fatto sì che il gesto della cura subisse una nuova riappropriazione e ridefinizione. L'espressione "Il mio Filippino" è stata coniata alla fine degli anni '80 da italiani di classe medio-alta a seguito dell'afflusso di filippini che si stabilirono in Italia negli anni '70. Segno di ignoranza e, forse, di razzismo "casuale", il termine "filippino" viene ancora usato per indicare una persona, di qualsiasi nazionalità, che lavora nel settore della pulizia e della cura in Italia. La documentazione e il video di Dela Cruz mostrano i gesti che si sono formati attraverso la colonizzazione e il capitalismo. Attraverso questa ricerca, l’artista traccia anche quella che è la storia della schiavitù nelle Filippine sia pre-coloniali che contemporanee. Lo scopo di questo progetto non vuole essere quello di provocare sensi di colpa ma diventare un invito a guardare più da vicino questi corpi familiari - anche se sconosciuti - che silenziosamente ci circondano all’interno dei nostri ambienti domestici rimanendo invisibili e trascurati. Citando Françoise Vergès: “Mentre cerchiamo di pulire/riparare le ferite del passato, dobbiamo anche pulire/riparare le ferite che vengono inflitte oggi... Mentre ripariamo il passato, dobbiamo contemporaneamente riparare il danno attuale che aumenta la vulnerabilità alla morte di milioni di persone nel Sud del mondo. Il passato è il nostro presente, ed è all'interno di questa temporalità mista che si può immaginare il futuro”.
Liryc Dela Cruz
Liryc Dela Cruz is an artist and filmmaker from the Philippines. His works have been screened and exhibited in different international film festivals and art events including Locarno, Maison Européenne de la Photographie, Artissima, Museo di Arte Contemporanea di Roma (MACRO), Teatro di Roma and Ocean Space Venice. His films are thematically related to his origins, history, and personal psychology, while his performances and research focuses on care, indigenous practices, decolonial practices, post-colonial Philippines, transpacific slave trade and hospitality.
Liryc Dela Cruz è un artista e regista filippino. Le sue opere sono state proiettate ed esposte in diversi festival cinematografici ed eventi artistici internazionali tra cui Locarno, Maison Européenne de la Photographie, Artissima, Museo di Arte Contemporanea di Roma (MACRO), Teatro di Roma e Ocean Space Venice. Le tematiche affrontate all’interno dei suoi film sono legate alle sue origini e alla sua storia personale oltre che alla sua psicologia; nelle sue performance e nei progetti di ricerca che svolge si concentra particolarmente sul concetto di cura e ospitalità, sulle pratiche indigene e decoloniali, la storia delle Filippine post-coloniali e la tratta degli schiavi trans-pacifica.
​